IL COLORE E LA LUCE
Il poeta tedesco Friedrich Von Ilardenberg (morto nel 1801 e più noto
con il nome di Novalis nel suo famoso libro “Frammenti” dice (cito a
memoria) che il pittore dipinge servendosi soprattutto degli occhi e la
sua arte è, così, quella di vedere in modo giusto e piacevole quello che
deve ritrarre. Novalis, si sa, subì l’influenza di Leibniz, per il
quale Dio, essere perfettissimo, ha creato il mondo in modo armonico e
perfetto: quindi il pittore deve ritrarlo così com’è stato creato e
tutto questo porta alla conclusione - filosofica per Leibniz, artistica
per il Novalis ed entrambe nella norma - che nel mondo della natura se
ne individua un altro: quello morale. Tutto questo non è di facile
comprensione tenuto conto dei risultati cui è giunta la pittura da
Cézanne, padre dell’avanguardia, a Morandi il quale sentenziò che “nulla
è più astratto del mondo reale”! E che altro non è stato detto lino ad
oggi, proprio grazie a quanto, in questo secondo Novecento ormai alla
fine, di contorto vi hanno visto gli stessi interpreti del pensiero di
quei grandi?... E qui il discorso si farebbe lungo e spinoso, mancando
oggigiorno alla pittura di tanti (ma per fortuna di eccezioni ve ne sono
e notevoli) quello che è il fascino, la poesia, il sentimento profondo
della bellezza, lo spirito, l`anima che hanno caratterizzato le grandi
stagioni dell’Arte pittorica. E allora tutto questo impone di chiederci
da dove ha origine la pittura di Dina Del Curto; dove e come questa
pittrice ha maturato la sua vocazione artistica; quali sono stati i suoi
studi e, più che gli studi, i suoi stimoli, il suo amore, infine, per la
pittura come espressione c comunicazione, insieme, della propria
personalità.
Il retroterra culturale di questa Artista ci fa capire il fascino da lei
subito allorché è venuta a contatto, attraverso lo studio diretto, col
mondo dell’Arte, studiandone gli aspetti ad iniziare dalla metà del
secolo scorso fin circa alla prima metà del Novecento: un arco di tempo
dopo il quale la pittura inizia un nuovo corso che si lascia alle spalle
il classico e il romantico per definirsi tout court “arte moderna”... E,
intanto, siamo già nel postmoderno!
Ma Dina Del Curto, che opera nell’ambito del figurativo moderno, per
dirla con i francesi, audessus de la mêlée, è al di sopra della mischia,
va per la sua strada e in questo non somigliare a nessuno è la forza e
l’originalità della sua vocazione artistica. E se proprio si volesse
scoprire nella sua pittura qualche ascendenza, questa andrebbe cercata,
forse, in quel “Fronte nuovo” al quale diedero vita, nel 1946 a Venezia,
artisti come Guttuso, come Levi e ancora Cassinari, Tureato, Vedova e
altri: un fronte nuovo che doveva arricchire di nuovi fermenti il primo
decennio del secondo Novecento. E la nostra pittrice osimana esordisce
proprio in quel famoso anno 1946 in una collettiva ad Osimo, la sua
città.
Artista sensibile e di forte temperamento Dina Del Curto ha raggiunto un
equilibrio perfetto anche grazie alla interpretazione che ella dà a
quell’espressionismo figurativo a sfondo critico dal quale ha preso le
mosse percorrendo felicemente, anno dopo anno, la sua strada con esiti
che sono proprio quelli tipici di una forte personalità creativa che si
è andata maturando nel corso degli anni attraverso non solamente la
tecnica in continua evoluzione ma anche grazie alla sete di conoscenza
del mondo nel senso reale del termine, delle genti e dei climi, anche
spirituali con i quali è venuta a contatto spinta dal suo temperamento
aperto ad ogni sorta di nuove scoperte, di nuove emozioni aventi un
unico scopo quello di esprimere in chiave artistica le sue impressioni.
Da qui quel suo inconfondibile, ispirato lirismo cromatico che si
allarga nella sua luminosità descrittiva come l’alone sonoro di una nota
musicale sia che si tratti di un paesaggio, sia che si tratti del
fascino esotico che si coglie anche nello sguardo, in un gesto, di gente
di altre latitudini. Una pittura, dunque, quella di Dina Del Curto,
fatta di esperienze vissute, diciamo pure sofferte, perché in
determinati climi e fra gente di paesi lontani è sempre un po’ travaglio
e un po’ rapimento, commozione anche, tradurre in vibrazioni
coloristiche la realtà. La sua pittura crea, così, stati d’animo sia che
il messaggio giunga da un quadro raffigurante le “Donne di Samarkand o
del Guatemala” o “Una madre di Shanghai” che allatti il suo bambino; o
da un paesaggio, o da un bambino che piange o da una qualsivoglia scena
che faccia vibrare le corde del cuore.
Nella tavolozza di questa pittrice così ricca di risorse intellettuali e
di sentimento, c’è infine una partecipazione umana che si concreta
nell’equilibrio del segno e nella grazia di un tonalismo fluido,
vivace che prende e che piace. Sicché è più che naturale e
consequenziale vedere in questa Artista una personalità significativa e
ricca di estro.
FASCINO ESOTICO E SENSO SIMBOLICO DELLA REALTA’
Sono gli anni d’oro della pittura italiana con alle spalle la “Scuola
Romana”. il movimento artistico fondato da Scipione e Mafai esponenti di
un espressionismo nuova maniera in opposizione critica alla cultura
dominante del tempo e, in prospettiva, tutto il fermento sorto intorno a
famosi artisti non solamente italiani, con le varie sfaccettature
dall’informale a l’Arte povera...
Dal 1944 la Nostra inizia privatamente, con un gruppo di allievi, gli
studi artistici sotto la guida di un valente Maestro, il prof. Stefano
Cavallo, scultore e pittore. Partecipa, intanto, nel 1946 e ancora
nell’anno successivo ad alcune Mostre collettive ad Osimo, Recanati e
Macerata. Espone così le sue primissime opere consistenti in disegni a
china acquerellata e olii: nature morte, scorci di paesaggi,
“Fiume”,“Pendio verde”, “Al chiaro di luna”, tanto per citarne alcuni,
dove domina una raffinata tecnica impressionistica dalle vistose
pennellate...
Fra questi lavori un ritratto, “Velia”, e un autoritratto di
sorprendente vitalità. Fra gli acquerelli, di sicuro impegno sono gli
“Studi di figure” e “Malinconia tirolese”, in cui già si
preannuncia la serie dei “Bambini”.
Intanto frequenta anche l’istituto d’Arte di Perugia ma questa volta
nella Sezione di “pittura murale” apprendendo così la tecnica
dell’affresco. Si diplomerà in questa branca nel 1948. Nel 1949 e l950 è
a Firenze dove si diplomerà al Magistero di Belle Arti sempre nella
Sezione di “pittura murale”. Di questo periodo sono i numerosi studi di
figura: disegni a penna, a carboncino, china acquerellata, ecc. Posavano
i compagni del corso e modelle... un po’ appassite, le sole che gli
studenti potessero permettersi, o “Martino” un barbone che, “vestito di
panni militari” - racconta la Del Curto - “con la gavetta dei fagioli
accanto” veniva a sonnecchiare presso la grande stufa nell’aula del
corso di “figura” e fu appunto “Martino” uno dei disegni della Del Curto
ammesso alla VI^ Quadriennale d’Arte di Roma c con successo.
Sono gli anni in cui il Novecento vive forse il suo maggiore splendore
con artisti come Scipione, Mafai, Capogrossi e altri ancora che poi
dovranno provocare quella svolta che, dall’arte Barocca con quelle sue
tonalità calde, sfocerà poi, in certo qual modo, in un impressionismo
destinato ad avere una parte importante nello svolgimento novecentesco
successivo con Stradone, Giovanni Omiccioli e altri notevoli. Siamo cosi
al ritorno della tradizione italiana che saluta, in artisti come Carrà,
Soffici, Morandi, De Chirico i corifei dei valori della forma fino
a giungere a quella linea post-impressionista che si schiererà
decisamente per un’arte più consona al rinnovamento e all’impegno. E’ il
periodo che segna il destino artistico di Dina Del Curto anche se, come
si vedrà, gli echi o, meglio, il fascino di un certo qual richiamo al
cubismo troverà in lei nuovi spazi lirici.
Alla fine del 1951 l’artista e presa da una crisi, di crescenza si
direbbe, che trova sfogo in una nutrita serie di olii, di soggetti vari
soprattutto paesaggi, nei quali riemerge una ricerca di certo gusto
cubista molto lontana, si capisce, dalla ricerca cubista del 1906,
quella di Braque, per intenderci, di Picasso... Si tratta di un cubismo
tutto personale che si condensa non solo nei colori particolarmente
carichi, con una prevalenza delle “terre” che usava nell’affresco, ma
anche in forme geometriche leggibili così come quelle riscontrabili in
dipinti come “Il cantiere”, “Fattoria toscana”, “Case di Numana”. In
queste tele è determinante la ricerca dei volumi e la scelta e la
stesura sintetica a piani dei colori (come un’astrazione). Predominano
le aree urbane, con le case senza finestre come blocchi
impenetrabili nel complesso di un paesaggio che si direbbe “metafisico”.
Il colore è contenuto da un segno bruno a closonnè; i cieli, il mare
seguono un andamento ritmico a “fasce”.
Nel 1953 partecipa agli “Incontri della Gioventù” ad Ancona e si
classifica seconda.
Partecipa poi alla Mostra Nazionale di Roma, con successo. Appartengono
a questa svolta anche i soggetti presi dal mondo dell’infanzia, dove i
bambini sono altrettanti “simboli” e rappresentano stati d’animo così
come lo stesso paesaggio, sintetico, ritmico, quasi astratto, nei suoi
colori neutri con una sola eccezione per le tonalità rosa. Opere che
attingono il senso simbolico della realtà: come “Girotondo” in cui “il
ritmo cadenzato segna il tempo che passa” chiarisce la Pittrice. Il tema
dei bambini è ricorrente nella pittura di Dina Del Curto: “i fanciulli
sono portatori di messaggi interiori”, spiega ancora l’Artista. Per
esempio i bambini sulla spiaggia che costruiscono castelli di sabbia
sono i sogni o un invito ad una nuova vita mentre l’olio “La giostra”
sta ad indicare emblematicamente il mondo che gira. Ancora “Il vicolo”
con in fondo, in un prestigioso gioco di prospettiva, una bambina che
segue con lo sguardo il cerchio sfuggitole di mano e “Il palloncino
rosso” che vaga nella striscia di cielo stretta fra casa e casa, infine
“Il tetto” con quella finestra sulla quale è posata una solitaria
colomba bianca, sono altrettante simbologie: che stanno rispettivamente
a significare la perdita di qualcosa che d’improvviso ci sfugge, un
distacco senza ritorno e, infine, un invito a sperare. E così pure i
fiori liberi, senza la costrizione dei vasi. vogliono significare un
omaggio alla natura e, di conseguenza, alla vita. “L’olio è sempre
trattato con rigore” - spiega l’Artista - e aggiunge:
“Specialmente nelle composizioni figurative dove tutto è meditato e
studiato, dai motivi tematici al ritmo geometrico-astratto degli sfondi
che lasciano immaginare l’ambiente mentre le persone sono rappresentate
in atteggiamenti abituali e con i loro costumi tipici, soprattutto con
le caratteristiche delle diverse etnie”.
Un fascino particolare ha la ritrattistica di questa singolare Artista
che sa cogliere gli aspetti caratteriali della persona.
Nei tre ritratti di donna “II gatto”, “La viola del pensiero” e “La
luna” per esempio, appare chiaro nell’ordine: lo sguardo lontano,
assente della prima che stringe al seno il gatto, il carattere schivo e
riservato della seconda che ha nella mano una mammola, e infine, il
tocco romantico della terza nel gesto di ravviarsi una ciocca di
capelli.
L’esotismo pittorico è un altro dato interessante della Del Curto:
splendida “La ragazza di San Salvador”, sorprendenti i “Bambini di
Itaparica”, mescolanze di razze diverse, capelli biondi e pelle scura,
croci e gatti neri (religiosità e superstizione) e ancora “Fioraie di
Samarkand, di Jaiselmer, di Chichicastenango”... Toccante ed
artisticamente eccellente il pastello cm. 120x80 “Il riposo degli eroi”,
uomini uzbeki anziani reduci di guerra con le medaglie appuntate sul
petto, dignitosi nel ricordo del loro glorioso passato.
Alle tematiche ricorrenti che coinvolgono le genti dei paesi visitati,
si aggiungono gli aspetti della quotidianità, le danze con i costumi
tipici e una gestualità che entusiasma...e poi i mercati, i sonatori di
strada e fioraie e ancora bambini e fiori, tanti fiori e belli e
diversi nelle loro composizioni che rendono a pieno la capacita
dell’artista nell’esprimere tutto quello che gli occhi hanno visto e la
memoria conservato. E accanto a tutto questo un frammento di storia
sacra: il Cristo con la Madre nel momento supremo della fine, in quattro
dipinti di una sublime emotività che restano fra le opere più sofferte
di questa nostra esemplare artista. E c’è dell’altro che conquista e
affascina: i piccoli formati che non superano i cm. I2xl6... Essi
riproducono scene di colore locale o scorci di paesaggi o monumenti: da
un “Tramonto sul Nilo” a un “Paesaggio toscano”, da un “Mercato del
Guatemala” e dalle “Cupole di Mosca” ad uno scorcio della vecchia Ostuni
o alla “Cattedrale di Isernia”... Queste “miniature” sono a china
acquerellata, con pochissimi tratti. La levità dei colori, la
suggestività degli scorci fanno di questi piccoli quadri pezzi d’opera
che l’occhio non si stanca mai di ammirare nella loro essenzialità e
raffinata delicatezza.
COLORISMO COME IMPEGNO DI LINGUAGGIO FORMALE
Negli anni dal 1950 al 1984 l’attività di Dina Del Curto ha subìto una
certa quale flessione: un periodo di ben 34 anni durante i quali è stata
docente di educazione artistica nelle Scuole Medie. Il contatto col
mondo giovanile e stato per lei certamente entusiasmante ma non di rado
ne ha limitato la libertà perchè costretta a rimandare gli impegni extra
scolastici. Di questo periodo restano testimonianze, molte opere
eseguite con tecniche nuove sperimentate insieme con i suoi allievi:
tecniche miste, acrilici, inchiostri.
Con le tecniche miste la Del Curto raggiunge risultati di grande
effetto, con esse il segno è libero, il colore è trattato a macchia cosi
da dare la sensazione che tutto, paesaggi e ambienti, è filtrato
attraverso il ricordo. Così le opere che riguardano “la Turchia”, “la
Cappadocia con le città rupestri”. “le zone desertiche e la Steppa”. “le
città sotterranee“, “Il portatore d’acqua”, “Le figure dei tre saggi” o
quelle immobili delle “Fioraie di Novosibirsk” o “Le cupole di
Costantinopoli”.
Nel l980 ha inizio la grande stagione dei viaggi all’estero che
determinano perla sua pittura una nuova fase. Sarà una pittura fatta di
esperienze maturate (la creazione, si sa, è sempre un po’ invenzione e
un po’ ricerca), di ispirazioni, di visioni godute alle varie
latitudini. La sua pittura così entra in una dimensione creativa che
genera stati d’animo, i più diversi. Il contatto diretto con altri
mondi, con altra umanità, con altro colore locale, con altri costumi
rappresenta per l’Artista una svolta molto importante. I paesaggi non
sono più i soli protagonisti delle sue tele. E’ la gente ora che la
conquista, la gente più diversa dei luoghi più lontani l’uno dall’altro:
dall’America latina al Giappone. L’Artista predilige l’Oriente: l’lndia
misteriosa, mistica. E per ogni luogo che visita usa le tecniche più
adatte a mettete in risalto stati d’animo e momenti di riflessione e di
adesione anche a tutto quell’universo nuovo e imprevedibile... Il grande
protagonista di questo incontro è il colore: il colore come messaggio
per capire la solitudine, l’emarginazione, la malinconia di quella
“Madre a Kathmandu” che accarezza il suo bimbo. Scenari ricchi di
fascino dell’India spirituale: Varanasi (la Benares degli inglesi), con
i suoi palazzi sul Gange, il fiume sacro, dove all’alba si levano verso
il cielo i fumi delle pire funebri e la gente scende dai Ghat, le
gradinate dove i Santoni sono immersi nella preghiera sotto grandi
ombrelloni su cui sono stesi i panni ad asciugare, le loro vesti dopo
l’immersione... Le vie di Varanasi, antichissime e strette, sono
popolate di fioraie con le loro ceste ricolme di gelsomini. E
ancora deliziose immagini di “Bambini a Kathmandu” o “Le purificazioni
sul Gange” di intensa spiritualità e ancora altre immagini che balzano
fuori dalla tavolozza dell’Artista la quale rivive dentro di sé
sensazioni e stati d’animo che quelle terre e quegli scenari naturali e
quelle genti hanno suscitato in lei. I temi sono ricorrenti nella loro
variegata diversità: dall’lndia al Brasile, dal Guatemala alla Cina, dal
Messico alla Thailandia, al Marocco... La pittura di Dina Del Curto va,
così, oltre i confini del magistero artistico di casa per esondare,
direi, varcando i confini ormai troppo stretti del suo mondo, l’immenso
campo dello spirito, alla continua ricerca di nuovi climi e nuove genti
che riescano ad appagare in lei il desiderio di conoscenza.
La sua pittura ormai affonda i suoi esiti nella sublimazione di
emotività. Il paesaggio non più urbano, è inteso come sensazione
cromatica e spettacolare della natura. Le scelte tecniche sono sempre
diverse e trasmettono con efficacia le sensazioni provate dall’artista
di fronte ad “un tramonto sull’Angarà” in Siberia o ai colori esaltanti
del “Bryce Canyon” o del “Grand Canyon“ o delle “Foreste brasiliane” o
“Le Cascate di lguacu”. Quello che non muta è l’entusiasmo del suo cuore
sensibile e ricettivo. Acquerelli, acrilici, olii, tecniche miste,
pastelli e gli accorgimenti che la mente e il cuore via via suggeriscono
evidenziano sempre di più e sempre meglio tutto quanto si fa oggetto
della sua attenzione e del suo interesse. Ma quello che fa dell’arte di
questa fine e sensibile artista un punto di richiamo preciso ai grandi
Maestri della tavolozza, e il modo di illuminare le sue tele. La luce,
per Dina Del Curto, è un elemento che la parte della sua sensibilità e
della sua spiritualità. Ma che cos’è la luce nella pittura? Ogni artista
a questa domanda darebbe una risposta diversa congeniale alla sua
sensibilità artistica.
Il filosofo francese Renè Descartes (Cartesio, per noi) nel suo
‘Trattato sulla luce” afferma (cito a memoria) che, così come il pittore
mette in piena luce nei suoi quadri i particolari più importanti
lasciando il resto nella discreta penombra, così egli stesso, nelle sue
speculazioni filosofiche aveva bisogno di illuminare il suo intelletto
per dare alle idee il rilievo necessario...Forse Cartesio diceva questo
perchè affascinato dall’arte del suo quasi contemporaneo Michelangelo
Merisi, (il Caravaggio), un Maestro della luce che dava essenza ai volti
dei personaggi delle sue tele e rara bellezza a cieli tempestosi... E la
nostra Dina Del Curto tratta la luce come la più espressiva componente
delle sue tele; sicché si può affermare che naturalismo e spiritualità
sono, in questa nostra Artista, un unicum che si arricchisce di
significati nell’impegno di interpretare la realtà secondo l’essenza
dell’Arte. Scriveva Arturo Graf che la realtà è un frastuono di cui
l’Arte deve saperne fare un’armonia... E l’armonia nei suoi quadri non è
l’ultimo dei risultati che la Nostra ha felicemente raggiunto. Nei
soggetti di queste sue tele intuizione e spirito di ricerca si fondono,
si completano per offrire il meglio, rivelando così un altro particolare
del suo interiore sentire, della sua poliedrica personalità: quello
dell’interesse culturale che trova ampi spazi operativi nella sua
spiritualità nel tradurre in forme chiare quello che l’ispirazione le fa
nascere dentro, raggiungendo lucidità di esiti, freschezza di
interpretazione, equilibrio formale, padronanza di tecniche, fervore
emotivo che trasmettono nell’osservatore le sensazioni più positive e
concrete di quello che, con abusato termine, si dice “messaggio”.
Messaggio che pubblico e critica hanno avuto modo di recepite attraverso
le Mostre che questa pittrice di grande talento e di forte intuizione ha
fatto in Italia e anche all’Estero: nel 1983 al Salon des Nations di
Parigi; nell’anno successivo al Metropolis Galerie di Ginevra. Nel l985
alla Fiera Internazionale d’Arte contemporanea di Nizza e. nel 1986,
alla “Artexpo” di New York; alla Galleria “Arco” di Madrid, alla “Art
Fair” di Londra e a Freiburg. in Germania. Nel 1987 alle Mostre “Maestri
Italiani del colore” a Vienna e all’Accademia dei Dioscuri ad Atene. Nel
1988 alla Biennale di Malta e a Cannes. Infine alla rassegna Maestri
Italiani del Colore di Lisbona nel l990...
Ad maiora semper!
Sabino d'Acunto
|